martedì 8 febbraio 2011

L'omelia pronunciata nel 1998 da Joseph Ratzinger nel centenario della nascita del cardinale Alojzije Stepinac: Difese le cose di Dio contro la falsa onnipotenza dell'uomo

Il cardinale Ratzinger a San Girolamo dei Croati (15 febbraio 1998) 
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L'omelia pronunciata nel 1998 da Joseph Ratzinger nel centenario della nascita del cardinale Alojzije Stepinac

Difese le cose di Dio contro la falsa onnipotenza dell'uomo

Il 15 febbraio 1998 il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, presiedeva nella chiesa romana di San Girolamo dei Croati la concelebrazione eucaristica in ricordo del servo di Dio Alojzije Stepinac - che il 3 ottobre successivo sarebbe stato beatificato da Giovanni Paolo II nel santuario croato di Marija Bistrica - in occasione del centenario della sua nascita. Alla vigilia della memoria liturgica del beato, che ricorre il 10 febbraio, pubblichiamo il testo integrale dell'omelia tenuta tredici anni fa da Joseph Ratzinger.

Eminenza, Eccellenze!
Cari confratelli nel sacerdozio!
Cari fedeli!


Nell'ultimo canto della Divina Commedia (Paradiso XXXI, 103), Dante parla di uno venuto forse dalla Croazia, che, affascinato dal volto di Cristo impresso nel velo della Veronica, non può più volgere il suo sguardo altrove, ma lo tiene fisso al Signore. Si immerge quasi nella visione di Cristo. Questo Croato anonimo di Dante ha per noi un nome: è il servo di Dio, cardinale Alojzije Stepinac, nato cento anni fa a Krasic, e morto il 10 febbraio 1960. Veramente quest'uomo, questo servo di Dio, ha tenuto fisso il suo sguardo su Gesù, ha meditato Gesù, ha vissuto nella visione di Cristo e così sempre si è conformato a Cristo: era trasformato in Cristo, lui stesso una immagine viva di Cristo sofferente con la corona di spine e con le ferite della sua passione.
Le tre letture della liturgia di oggi sono a loro modo una immagine di Cristo. Del sermone della montagna, del quale abbiamo sentito adesso un brano (Luca, 6, 17.20-24), il Santo Padre nella sua enciclica Veritatis splendor dice che è una specie di autobiografia nascosta di Cristo, perché, in realtà, è Cristo quel povero esemplare, che è nato nel presepio fuori città perché non c'era posto negli alberghi, che è morto nudo, privo di tutto sulla croce. Cristo è stato odiato, espulso, perché ha annunciato l'amore di Dio per tutti. E così, vedendo, meditando le letture di oggi, vediamo Cristo, ma possiamo anche così meglio capire il messaggio del servo di Dio: il cardinale ci guida a Cristo e rende presente il suo messaggio, e Cristo ci fa vedere la profondità del cuore, le vere radici di questa vita.
Vorrei attirare l'attenzione solo su due piccoli passi di questo Vangelo di oggi.
Innanzitutto su quella parola già citata: "Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e respingeranno il vostro nome".
Il nostro beato, il nostro servo di Dio, ha vissuto proprio questa espulsione dalla gloria degli uomini, ha vissuto la solitudine, la sofferenza. Esiste una specie di anticipazione profetica di questa parola in una parola di Socrate, riportata da Platone nella sua Apologia (31 c), quando davanti al tribunale Socrate dice: "Nessun uomo che in nome della sua coscienza si oppone a una moltitudine dominante potrà finire salvo in questa terra". Il cardinale Stepinac era un uomo di coscienza, che in nome della coscienza si oppose alle moltitudini dominanti. Era l'uomo di una coscienza illuminata dalla parola di Cristo, un uomo di una coscienza formata dalla sua verità. E tramite la coscienza il suo cammino è venuto alla verità: ed è cammino della vera vita. Perché uomo di coscienza, di coscienza cristiana, si oppose ai totalitarismi; ed è divenuto, nel tempo della dittatura nazista, difensore degli ebrei, degli ortodossi e di tutti i perseguitati; e poi, nel tempo del comunismo, è stato l'avvocato dei suoi fedeli, e dei suoi sacerdoti trucidati e perseguitati. È divenuto soprattutto l'avvocato di Dio su questa terra, ha difeso il diritto dell'uomo di vivere con Dio, ha difeso lo spazio di Dio su questa terra.
Il cardinale Stepinac non ha fatto politica. Ha rispettato lo Stato quando e in quanto fu realmente Stato. Seguì la linea formulata da sant'Ambrogio, il quale dice: Ho sempre prestato la deferenza voluta e corretta agli imperatori, ma le cose di Dio non sono cose mie, non sono cose dell'imperatore, sono cose di Dio e devo rispettare e difendere quanto è di Dio (cfr Lettera fuori coll. 10, 1. 12). Dunque, così ha fatto il cardinale Stepinac: ha difeso le cose di Dio contro l'onnipotenza sbagliata e falsa dell'uomo, ha difeso i diritti di Dio, e così i veri diritti dell'uomo, la vera immagine dell'uomo contro il totalitarismo che non riconosce il potere di Dio, non riconosce la presenza di Dio, i diritti di Dio nel mondo.
Il servo di Dio era un uomo di coscienza e perciò in tutta la sua ammirevole fermezza non è mai stato un uomo duro, non è mai divenuto amaro, ancor meno ha conosciuto l'odio, perché ha difeso la verità, perché la sua coscienza era immersa nel volto di Cristo, era formata da Cristo. Questa fermezza era, nello stesso tempo, amore degli uomini, amore anche per i suoi persecutori. E così ci insegna come la fermezza della coscienza cristiana riconcilia verità e amore, è unità di verità e amore. Essendo uomo di coscienza, ha superato il male col bene e ha trasformato il male con il suo amore invincibile nutrito dall'amore di Cristo.
L'altra parola sulla quale volevo attirare l'attenzione è la prima delle beatitudini: "Beati voi poveri perché vostro è il Regno di Dio". Che cosa vuoi dire questo "beati"? In che cosa consiste questa beatitudine? È ovvio che questa beatitudine non è la felicità terrena nel senso banale del benessere, del successo, della carriera, dell'avere tutto, del poter fare tutto. È proprio il contrario. Sotto questo profilo è vero quanto ci dice oggi san Paolo nella lettura (prima Lettera ai Corinzi, 15, 12.16-20): "Se non è risorto Cristo, se abbiamo solo questa vita e questo tempo, siamo i più miseri uomini del mondo". E, realmente, il nostro servo di Dio ha vissuto e sofferto questa miseria della fede, questo essere escluso, questa solitudine. Ha sofferto la miseria, ma ha potuto sopportare questa miseria perché dietro la miseria ha scoperto la beatitudine vera. Ha saputo: "Io so che il mio Redentore vive" e che vivrò con il mio Redentore.
Dunque, in che cosa consiste questa beatitudine, questo essere beato? Non è una cosa di questo mondo, è una realtà di Dio, una realtà divina, una realtà in Dio per l'uomo, che si rivelerà in quest'uomo nel suo tempo, determinato da Dio. E quindi, chi vuol vivere questa beatitudine, arrivare a questa beatitudine, non può rinchiudersi in se stesso, deve estendersi sopra se stesso, deve uscire da se stesso, deve vivere nella autotrascendenza, deve perdere se stesso nelle mani di Dio. E perdendo se stesso, vive proprio nel luogo della vera beatitudine. Sappiamo come veramente il servo di Dio ha vissuto questa autotrascendenza. Non ha considerato il suo episcopato, il suo essere sacerdote come una dignità, un onore. Realmente si è perso in Dio e perdendosi ha trovato la vera vita. Perché proprio lasciando se stesso è divenuto libero: libero nei riguardi dell'onore umano, libero di sopportare tutte queste offese, queste calunnie, libero di amare. Nella luce di questa vera beatitudine possiamo anche capire l'altra parola: "Guai a voi ricchi perché avete già la vostra consolazione". Se è beato l'uomo che non vive per sé ma vive quasi fuori di sé, vive verso Dio, si estende verso Dio, consegna se stesso nelle mani di Dio, il ricco è l'uomo che vuol avere tutto per se stesso, che vuol avere la vita, se stesso per se stesso, si chiude in se stesso, vuoi avere successo in tutte le cose di questa terra. E proprio con questa ricchezza diventa povero, perché diventa povero della vera realtà, di Dio, e la sua vita è realmente - come dice la prima lettura di oggi (Geremia, 17, 5-8) - "come un tamerisco arido nella steppa, come pula che disperde il vento", perché è vuoto; questa vita, questo "io solo" non è sufficiente, perché è vuoto di verità, è vuoto di amore, se non conosce Dio. E, di conseguenza, questo "guai, avete già avuto la vostra consolazione" non è, come potrebbe apparire, una vendetta esteriore. È solo una rivelazione di quanto succede se uno si chiude nella materia, nelle cose di questo tempo, se uno vuol avere se stesso per se stesso e vivere solo per se stesso. Così vediamo come coincidono le parole del Vangelo con la prima lettura e con il primo salmo, il salmo responsoriale di questa domenica, dove il profeta prefigurando Cristo e i suoi testimoni, dice: "Beato l'uomo che confida nel Signore": è come un albero piantato lungo le acque e mai mancheranno le acque. Queste acque che mai mancheranno, che danno la vita eterna a questo albero, queste acque le troviamo nella fede della Chiesa, nella parola di Dio. Dio stesso ci dà queste acque. Agostino, interpretando il salmo 1, dice: Questo uomo benedetto dal profeta e dal salmo, è come un albero che ha le sue radici in alto, che ha le sue radici in cielo e cresce dal cielo. Così appare perso sulla terra, sembra straniero sulla terra, ma in realtà ha le sue radici affondate nelle vere acque della vita. Il cardinale Stepinac veramente era un tale albero, che è cresciuto dall'alto, dalla comunione con Dio, e così sembrava essere quasi esposto, quasi estraneo alla terra. E ha avuto realmente le radici dove sono le vere acque della vera vita. Il salmo, quindi, la lettura e il Vangelo ci invitano a vedere le vere alternative: o vivere solo per questo tempo, solo per se stesso, essere apparentemente felici, o vivere con Dio, per Dio e così per gli altri. Non ci sono altre scelte. Alla fine c'è solo questa alternativa. E il servo di Dio ci mostra la vera strada della vita e ci invita anche a questa fortezza, a questo coraggio di essere in contrasto col mondo, se il mondo è in contrasto con la parola di Dio. Sapendo bene che alla fine vive ed è valida solo la parola divina, che è la vera realtà.
Quando nel 1934 il servo di Dio fu eletto arcivescovo coadiutore di Zagreb, si spaventò. Conosceva bene la situazione difficile della Chiesa cattolica e dei fedeli cattolici nella sua terra, in questa Jugoslavia che dagli alleati, dopo la prima guerra mondiale, era stata costruita artificialmente da elementi contrastanti e con forte accento anticattolico. Ma non conosceva soltanto questa difficoltà, questa minaccia: sapeva anche la forza delle ideologie totalitarie, antiteiste, che erano forti in quel momento e che sempre più fortemente dominavano tutto. In questa situazione, non poteva considerare l'episcopato come una promozione nel senso umano, come un grado più alto di una carriera umana. Sapeva che l'episcopato in quel momento era sacrificio, era perdersi, era lasciarsi cadere solo nelle mani di Dio.
Ha espresso il programma del suo episcopato, della sua vita, nella parola In Te Domine speravi, il suo motto episcopale. Coincide, questo motto, con la parola della prima lettura di oggi: "Benedetto l'uomo che confida nel Signore, e il Signore è la sua fiducia". In Te Domine speravi. Si è abbandonato al Signore in tante sofferenze, si è abbandonato al Signore sapendo che nel Signore sono le acque della vera vita, la vera beatitudine. In tutte le difficoltà è rimasto l'uomo della speranza, della speranza perché uomo di fede e così uomo di carità, uomo del vero amore.
Oggi il cardinale Stepinac ci invita a questo coraggio, ci invita a mettere la nostra fiducia in Cristo, a essere gli uomini della speranza. In Te Domine speravi. Chi vive di questa parola sa che anche la conclusione del Te Deum vale, è vera: non confundar in aeternum, non sarò mai confuso.

(©L'Osservatore Romano - 9 febbraio 2011)