sabato 25 luglio 2009

Prof. Ratzinger: "La chiesa non è per lo più là dove si organizza, si riforma, si dirige, bensì è presente in coloro che credono con semplicità"(1968)


Cari amici, grazie alla sapiente trascrizione di Gemma possiamo leggere un testo che oso definire, senza giri di parole, "profetico".
Si tratta di un brano tratto da "Introduzione al Cristianesimo", libro scritto dall'allora professor Joseph Ratzinger nel 1968.
Dalla lettura di questo testo apprendiamo che cosa intenda il Santo Padre per "sopportazione attiva" (ce ne ha parlato Rodari nella prima parte della sua inchiesta).
Quella dell'allora professor Ratzinger potrebbe sembrare, ad una prima lettura, un'analisi impietosa dell'atteggiamento di alcuni uomini di Chiesa, ma si tratta, in verita', di un testo altamente positivo: e' la speranza che domina tutta l'attivita' del Santo Padre, e' la consapevolezza che la Chiesa e' santa e cattolica indipendentemente dai possibili sbandamenti dei suoi membri.
Quanto e' importante leggere questo brano proprio in questo preciso momento storico!
Benedetto XVI dimostra anche in questo caso una lungimiranza eccezionale di cui i lettori piu' attenti devono tenere conto.
Grazie ancora per questo bel regalo
.
Raffaella

Introduzione al cristianesimo

Parte terza. Lo Spirito e la Chiesa

2- 1. “La Santa Chiesa Cattolica

Va da sé che non può essere nostra intenzione sviluppare in questa sede una dottrina completa sulla chiesa, vogliamo solo tentare, lasciando da parte le singole questioni specificamente teologiche, di enucleare brevemente l’autentico scandalo in cui ci imbattiamo ogni qual volta pronunciamo la parola “la santa chiesa cattolica” e ci sforziamo di rispondere secondo le intenzioni del Simbolo.
A questo riguardo diamo per presupposto ciò che abbiamo detto in precedenza circa il luogo spirituale e il contesto interno di queste parole, le quali, da un lato, si riferiscono alla professione di fede nell’agire potente dello Spirito Santo nella storia e, dall’altro, vengono spiegate nelle parole relative alla remissione dei peccati e alla comunione dei santi, le quali indicano battesimo, penitenza ed eucaristia come i pilastri su cui è costruita la chiesa, come il suo genuino contenuto e la sua vera modalità di esistere.
Forse, molto di ciò che ci disturba nel confessare di credere la chiesa è già spazzato via non appena riflettiamo su questo duplice contesto. Ma diciamo tuttavia subito che cosa oggi ci assilla, a questo proposito.

Se non vogliamo nasconderci nulla, siamo senz’altro tentati di dire che la chiesa non è né santa, né cattolica: lo stesso concilio Vaticano II è arrivato a parlare non più soltanto della chiesa santa, ma della chiesa peccatrice; se a questo riguardo gli si è rimproverato qualcosa, è per lo più di essere rimasto ancora troppo timido, tanto profonda è nella coscienza di noi tutti la sensazione della peccaminosità della chiesa.

Può, certo, qui influire la teologia luterana del peccato e quindi, nuovamente, anche un presupposto derivante da decisioni dogmatiche precedenti. Ma ciò che rende così perspicace questa ‘dogmatica’ è il suo essere in sintonia con la nostra esperienza. I secoli della storia della chiesa sono così pieni di fallimenti umani che possiamo comprendere la terrificante visione di Dante, che vide assisa sul carro trionfale della chiesa la grande meretrice babilonese, e possiamo capire le tremende parole del vescovo di Parigi Guglielmo d’Alvernia (del XIII secolo), il quale riteneva che chiunque vedesse la depravazione della chiesa dovrebbe allibire dallo spavento: “Essa non è più la sposa, bensì un mostro d’orrendo aspetto e di selvaggia belluinità...”.
Al pari della santità, anche la cattolicità della chiesa ci appare problematica.

L’unica tunica del Signore è lacerata fra diversi partiti litiganti; l’unica chiesa è frazionata in molte chiese, ognuna della quali accampa più o meno intensamente la pretesa di essere l’unica in regola. Sicchè oggi la chiesa è divenuta per molti l’ostacolo principale della fede.

Non riescono più a vedere in essa altro che l’ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini i quali, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo.

Non esiste alcuna teoria in grado di controbattere in maniera convincente queste idee di fronte alla semplice ragione, ma bisogna anche ammettere, d’altra parte, che questi pensieri non provengono semplicemente dalla ragione, bensì da un’amarezza del cuore che forse è rimasto disilluso in qualche elevata aspirazione e ora, nel suo amore offeso e ferito, non sa più cogliere altro fuorché la distruzione della sua speranza.

Come, dunque, risponderemo? In definitiva, non ci resta che riconoscerlo apertamente, perché nonostante ciò si possa ancora, nella fede, amare questa chiesa, perché anche in quel volto sfigurato si osi pur sempre riconoscere il volto della chiesa santa.
Ma incominciamo, cionostante, dagli elementi oggettivi:
L’aggettivo ‘santo’, come abbiamo avuto modo di vedere, in tutte queste affermazioni non intende in primo luogo la santità delle persone umane, ma si riferisce al dono divino, al dono della santità in mezzo alla non santità umana.

Nel Simbolo la chiesa viene chiamata ‘santa’ non perché i suoi membri siano, insieme e singolarmente, santi, uomini senza peccato.

Questo pio sogno, che rispunta in ogni secolo, non trova assolutamente posto nel vigile mondo del nostro testo, per quanto esprima in maniera commovente un anelito dell’uomo, che non può abbandonarlo sinchè un nuovo e una nuova terra non gli doneranno realmente ciò che il tempo presente non gli concederà mai.

Già qui potremmo dire che i critici più duri della chiesa, nel nostro tempo, si nutrono sotto sotto proprio di questo sogno e, siccome lo trovano deludente, sbattono la porta di casa in faccia e lo denunziano come ingannatore.

Ma facciamo un passo indietro: la santità della chiesa sta in quel potere di santificazione che Dio esercita in essa malgrado la peccaminosità umana. C’imbattiamo qui nella caratteristica propria della ‘Nuova Alleanza’: in Cristo, Dio si è spontaneamente legato agli uomini, si è lasciato legare da loro.
La Nuova Alleanza non poggia più sulla mutua osservanza del patto stipulato, ma viene invece donata da Dio come grazia che permane anche a dispetto dell’infedeltà dell’uomo.
E’ l’espressione dell’amore di Dio, che non si lascia vincere dall’incapacità dell’uomo. Dio continua, nonostante tutto, a essere buono con lui, non cessa di accoglierlo, proprio in quanto peccatore, si volge verso di lui, lo santifica e lo ama.
In virtù del dono del Signore, mai ritrattato, la chiesa continua ad essere quella che egli ha santificato, in cui la santità del Signore si rende presente fra gli uomini. Ma è sempre realmente la santità del Signore che si fa qui presente e che si sceglie continuamente come contenitore della sua presenza, con amore paradossale, anche e proprio le sporche mani degli uomini. E’ santità che risplende come santità di Cristo in mezzo al peccato della chiesa.
Questa è la figura paradossale della chiesa, nella quale il divino si presenta così spesso in mani indegne, nella quale il divino è sempre presente solo nella forma del ‘nonostante tutto’, per i fedeli un segno del ‘nonostante tutto’ dell’amore di Dio, sempre più grande.

Lo sconcertante intreccio di fedeltà di Dio e infedeltà dell’uomo, che caratterizza la struttura della chiesa, è per così dire la drammatica figura della grazia, tramite la quale la realtà della grazia si rende di continuo visibilmente presente nella storia, come concessione della grazia a chi è per sé indegno.

Di conseguenza, si potrebbe dire addirittura che la chiesa, proprio nella sua paradossale struttura di santità e di miseria, sia la figura della grazia in questo mondo.

Facciamo ancora un passo avanti. Nel sogno umano di un mondo salvato la santità viene immaginata come un non essere toccati dal peccato e dal male, un non mescolarsi con esso; a questo riguardo continua in certo qual modo un pensiero secondo lo schema bianco-nero, che esclude e rigetta inesorabilmente la relativa forma del negativo (che logicamente può venire intesa in maniera assai diversa). Nell’odierna critica della società e nelle azioni in cui essa sfocia questo tratto spietato, che molto spesso contraddistingue gi ideali umani, è anche troppo evidente.

Ciò che veniva percepito come scandaloso della santità di Cristo, già agli occhi dei suoi contemporanei, era perciò il fatto che a essa mancava del tutto questo aspetto di giudizio: il fatto che né faceva cadere fuoco su chi era indegno, né veniva permesso agli zelanti di strappare dal campo la zizzania che vi vedevano crescere.

Al contrario, questa santità si manifestava proprio come mescolarsi con i peccatori, che Gesù attirava a sé; un mescolarsi fino al punto di farsi egli stesso ‘peccato’, accettando la maledizione della legge nel supplizio capitale: piena comunanza di destino coi perduti (cfr 2Cor 5,21; Gal 3,13). Egli ha preso su di sé il peccato, se ne è fatto carico, rivelando così che cosa sia la vera ‘santità’: non separazione, bensì unificazione; non giudizio, bensì amore redentivi.
Orbene, la chiesa non è forse semplicemente la prosecuzione di questo abbandonarsi di Dio alla miseria umana? Non è forse la continuazione della comunione di mensa di Gesù con i peccatori, del suo mescolarsi con la povertà del peccato, tanto da sembrare addirittura di affondare in esso? Nella santità della chiesa, ben poco santa rispetto all’aspettativa umana di assoluta purezza, non si rivela forse la vera santità di Dio che è amore, amore però che non si tiene arroccato nel nobile distacco dell’intangibile purezza, ma si mescola con la sporcizia del mondo per così ripulirla?

Tenendo presente questo, la santità della chiesa può mai essere qualcosa di diverso dal portare gli uni i pesi degli altri, che ovviamente scaturisce per tutti dal fatto che tutti vengono sorretti da Cristo?

Lo ammetto: per me, proprio la santità ben poco santa della chiesa ha in sé qualcosa di infinitamente consolante.
Infatti, non ci si dovrebbe forse scoraggiare di fronte a una santità senza macchia alcuna, che su di noi avesse solo l’effetto di giudicare e bruciare?


E chi mai potrebbe affermare di non aver bisogno di essere sopportato, anzi sorretto dagli altri? Ora, come potrebbe rifiutare di sopportare uno che vive perché sopportato da parte degli altri? Questo non è forse l’unico contraccambio che egli può offrire, l’unica consolazione che gli resta, il fatto che sopporti così come egli stesso viene sopportato? La santità nella chiesa comincia col sopportare e conduce al sorreggere; qualora, però, il sopportare venga meno, cessa anche il sorreggere e, l’esistenza privata di sostegno, finisce per precipitare nel vuoto.
Si può tranquillamente affermare che in queste parole si esprime un’esistenza debole, ma essere cristiani comporta accettare l’impossibilità dell’autarchia e la propria debolezza.

In fondo, è sempre all’opera un malcelato orgoglio quando la critica alla chiesa assume quel tono di aspra amarezza che oggi incomincia ormai a diventare un gergo usuale.
A essa, purtroppo, si aggiunge poi sin troppo sovente un vuoto spirituale, in cui non si scorge assolutamente più lo specifico della chiesa, sicchè essa viene considerata soltanto come una formazione politica che persegue i suoi interessi e se ne percepisce l’organizzazione come miseranda o brutale, quasi che la peculiarità della chiesa non stia oltre l’organizzazione, nella consolazione della parola e dei sacramenti che essa assicura nei giorni lieti e tristi.
I veri credenti non danno mai eccessivo peso alla lotta per la riorganizzazione delle forme ecclesiali.
Essi vivono di ciò che la chiesa è sempre.

E se si vuole sapere che cosa realmente sia la chiesa, bisogna andare da loro. La chiesa, infatti, non è per lo più là dove si organizza, si riforma, si dirige, bensì è presente in coloro che credono con semplicità, ricevendo in essa il dono della fede che diviene per loro fonte di vita.

Solo chi ha sperimentato come la chiesa , al di là del mutare dei suoi servitori e delle sue forme, dia coraggio alle persone, offrendo loro una patria e una speranza, una patria che è speranza, vale a dire una vita che conduce alla vita eterna, solo costui sa che cosa sia la chiesa, in passato e anche oggi.

Ciò non vuol dire che bisogna lasciare sempre tutto così com’è e sopportarlo così com’è.

Il sopportare può essere anche un processo altamente attivo, un lottare per far sì che la chiesa diventi sempre più lei stessa capace di sorreggere e sopportare.

La chiesa, infatti, non vive che in noi, vive della lotta di chi non è santo per la santità, come del resto tale lotta vive, a sua volta, del dono di Dio, senza il quale non sarebbe nemmeno possibile.
Ma la lotta risulterà fruttuosa, costruttiva, soltanto se sarà animata dallo spirito del sopportare, da un autentico e reale amore.
Eccoci così arrivati anche al criterio al quale deve sempre commisurarsi la lotta critica per una migliore santità: questa lotta non solo non è in contrasto con il sopportare , ma è da esso esigita.
Questo criterio è il costruire.
Una critica amara, capace solo di distruggere, si condanna da sé.

Una porta violentemente sbattuta può si essere un segnale che scuote coloro che sono dentro, ma l’illusione che nell’isolamento si possa costruire di più che attraverso la collaborazione è appunto un’illusione, esattamente come l’idea di una chiesa dei ‘santi’ invece di una ‘chiesa santa’, la quale è santa perché il Signore elargisce in essa il dono della santità, senza alcun merito da parte nostra.
Siamo così giunti all’altro aggettivo con cui il Credo qualifica la chiesa: esso la chiama ‘cattolica’. Le sfumature di significato assunte da questa parola, nel lungo cammino percorso dalle sue origini a oggi, sono molteplici.
Tuttavia, un’idea fondamentale è documentabile, sin dal principio, come determinante: con questa parola si allude all’unità della chiesa in un duplice senso.
Innanzitutto, ci si riferisce all’unità di luogo: solamente la comunità unita al vescovo è ‘chiesa cattolica’, non i gruppi parziali che, per qualsiasi motivo, se ne sono staccati.

In secondo luogo, è qui richiamata l’unità delle chiese locali fra loro, le quali non possono rinchiudersi in se stesse, ma possono rimanere chiesa solo mantenendosi aperte l’una verso l’altra, formando un’unica chiesa nella comune testimonianza della Parola e nella comunione della mensa eucaristica , che è aperta a tutti in ogni luogo.

Nelle antiche spiegazioni del Credo, la chiesa ‘cattolica’ viene contrapposta a quelle “chiese che sussistono soltanto nelle loro rispettive province”, contraddicendo così la vera natura della chiesa.
Come si vede, nell’aggettivo ‘cattolica’ si esprime la struttura episcopale della chiesa e la necessità dell’unità di tutti i vescovi fra loro; il Simbolo non contiene alcuna allusione alla cristallizzazione di questa unità nella sede episcopale di Roma... Sarebbe senz’altro sbagliato dedurne che un tale orientamento per l’unità rappresenti solo uno sviluppo secondario.
A Roma, dove il nostro Simbolo si è formato, quest’idea è stata subito sottintesa come ovvia. Esatto è, però, che questa affermazione non va annoverata fra gli elementi primari del concetto di chiesa e non può nemmeno pretendere di rappresentare la sua genuina base di costruzione.
Elementi fondamentali della chiesa appaiono piuttosto il perdono, la conversione, la penitenza, la comunione eucaristica e, a partire da questa, la pluralità e l’unità: pluralità delle chiese locali, che però restano chiesa unicamente tramite il loro inserimento nell’organismo dell’unica chiesa.
Quale contenuto dell’unità sono fondamentali innanzitutto la Parola e il Sacramento: la chiesa forma un tutto unico grazie all’unica Parola e all’unico Pane. La costituzione episcopale compare sullo sfondo come un mezzo di questa unità. Essa non esiste per se stessa, ma rientra nella categoria dei mezzi; la sua posizione può essere sintetizzata con la preposizione ‘per’: serve alla realizzazione dell’unità delle chiese locali, in esse e fra di loro.
Un ulteriore stadio, sempre nell’ordine dei mezzi, sarà poi costituito dal servizio del vescovo di Roma.
Una cosa è chiara: la chiesa non va pensata partendo dalla sua organizzazione, ma è l’organizzazione che va compresa partendo dalla chiesa.
Tuttavia è al contempo chiaro che, per la chiesa visibile, l’unità visibile è qualcosa di più della semplice ‘organizzazione’.
La concreta unità della fede comune, che si manifesta nella Parola, e della comune mensa di Gesù Cristo costituisce essenzialmente il segno che la chiesa deve elevare nel mondo.

Solo in quanto ‘cattolica’, ossia visibilmente una pur nella molteplicità, essa corrisponde a quanto richiede il Simbolo.

Nel mondo dilaniato e diviso la chiesa deve essere segno e strumento di unità, deve superare barriere e riunire nazioni, razze e classi.

Sino a che punto anche in questo compito essa sia venuta meno, lo sappiamo assai bene: già nell’antichità le riuscì oltremodo difficile essere al contempo chiesa dei barbari e dei romani, nell’evo moderno non è stata in grado di impedire il conflitto fra le nazioni cristiane, e ai nostri giorni non riesce a conciliare fra loro ricchi e poveri, in modo che il superfluo degli uni possa saziare gli altri. Sicchè il segno della comunione di mensa rimane ampiamente incompiuto.
Eppure, nonostante tutto, non si può nemmeno qui disconoscere quali decisi imperativi abbia continuato a generare la rivendicazione della cattolicità; invece di limitarci a denigrare il passato, dovremmo soprattutto mostrarci pronti ad accogliere l’appello del presente, cercando di non limitarci a confessare la cattolicità nel Credo, ma di realizzarla nella vita del nostro mondo dilaniato.

Da Joseph Ratzinger, "Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul Simbolo apostolico", Edizioni Queriniana 2005