sabato 4 luglio 2009

Card. Ratzinger: "Uno Stato non può rescindere totalmente le proprie radici ed elevarsi, per così dire, a puro Stato razionale..."


FEDE E DIRITTO. L´INTERVENTO DI UN GRANDE GIURISTA CATTOLICO

Una soluzione è possibile alle tensioni che si verificano fra l´ordinamento laico e la religione e che incidono sulla vita di tutti

Uno scambio di lettere con Joseph Ratzinger sulla libertà confessionale

ERNST-WOLFGANG BöCKENFöRDE

Lo Stato laico dei nostri giorni è uno Stato secolarizzato. Il tema del suo rapporto con la religione è stato di recente assai dibattuto.
A molti questo Stato appare una fondamentale conquista di civiltà politica, perché ha consentito che persone di diverse convinzioni religiose e ideologiche vivessero in pace e in libertà nel quadro di un ordinamento comune. Altri lo giudicano invece con scetticismo, se non con avversione, perché esso col suo ordinamento si emanciperebbe dalla religione, respingerebbe la sua pretesa di influire sull´ordinamento dell´umana convivenza e sarebbe in definitiva uno "Stato senza Dio".
Io vorrei cercare di contribuire alla distensione tra queste due concezioni opposte. (…)
Non esiste diritto illimitato, nemmeno un diritto di libertà garantito come diritto umano; altrimenti, esso diventa un potere sugli altri. Nella convivenza umana, esso deve sussistere insieme all´eguale libertà degli altri, non può cancellare questa libertà e nemmeno gli altrui diritti fondamentali, ad esempio il diritto alla vita, alla salute, alla proprietà, alla libera scelta di una professione. Ciò è incontestato e vale altresì per la libertà religiosa. In aggiunta, questa libertà non dispensa dall´osservanza delle leggi vigenti, essa ha il suo spazio e si dispiega nel quadro dell´ordinamento giuridico generale. Ma qui ci troviamo di fronte a un problema. Si tratta di un problema generale, che non si presenta per la prima volta in una società pluralistica, ma in essa acquista una rilevanza particolare.
Il motivo sta nel fatto che di regola le confessioni religiose non si limitano a venerare Dio nelle forme della liturgia e del culto, ma abbracciano anche comandamenti e massime per le condotte della vita e i comportamenti del mondo. Questi precetti penetrano nella convivenza fra gli uomini, ma possono differire dalle disposizioni di legge vigenti nella comunità politica. Cosa prevale allora? Ha la precedenza la libertà religiosa o l´ordinamento giuridico generale? La tensione che qui si produce non può essere risolta unilateralmente. È compito legittimo e necessario dell´ordinamento giuridico statale regolare in maniera vincolante per tutti le questioni della convivenza materiale degli uomini; occorre pertanto che i diritti e i doveri delle cittadine e dei cittadini della società civile e dello Stato non vengano condizionati né limitati dall´esercizio della libertà confessionale.
D´altra parte, l´ordinamento giuridico statale deve tenere conto delle garanzie costituzionali, tra le quali sono anche la libertà religiosa e quella confessionale, e farle sue. Quindi nell´ordinamento giuridico statale occorre dare spazio alla libertà di confessione anche in ambiti e affari mondani che non hanno un immediato carattere religioso-cultuale, nella misura in cui ciò sia compatibile con le esigenze fondamentali della comune convivenza, che debbono essere salvaguardate in ogni caso. Ciò riguarda il campo delle non poche questioni di carattere religioso-spirituale e insieme politico-mondano – ad esempio il diritto matrimoniale, il diritto alla domenica e ai giorni festivi, anche i digiuni e le prescrizioni o consuetudini relative al vestiario.
I casi di applicazione e quelli problematici si moltiplicano con la pluralizzazione delle confessioni, e vengono avvertiti con particolare intensità dai musulmani: l´obbligo delle ragazze musulmane a partecipare a lezioni di nuoto e a gite scolastiche insieme ai maschi, il velo delle scolare e delle insegnanti musulmane, l´applicazione dei tabù sulla macellazione, ecc.
Il problema della limitazione della libertà confessionale si inasprisce davanti all´interrogativo: in che misura lo Stato secolarizzato può mantenere la garanzia, per esso costitutiva, della libertà confessionale, della neutralità religiosa e dell´equiparazione giuridica delle comunità religiose, di fronte al crescente pluralismo ideologico-religioso e all´aumento dell´immigrazione, quando contemporaneamente non può prescindere da una cultura vissuta, non di rado improntata da tradizioni religiose, come comune fondamento che tiene insieme la società?

Per rendere chiaro il problema, io vorrei citare – col di lui consenso – un carteggio da me tenuto tre anni fa con l´allora Prefetto della Congregazione della Fede, il cardinale Joseph Ratzinger.

Alla mia arringa contro un divieto universale del velo per le insegnanti musulmane, il cardinale replicò scrivendo che, pur concordando quasi in tutto, differiva riguardo a un punto.

In uno Stato ideologicamente neutrale non tutti i simboli esposti pubblicamente andrebbero trattati nello stesso modo, così da esibirli tutti paritariamente oppure nessuno. Uno Stato ha pure le proprie radici culturali e religiose, che rimangono per esso in certo modo costitutive anche quando è consapevole di essere tenuto alla neutralità verso le religioni.

Diversamente – proseguiva il cardinale – dovrebbero scomparire i privilegi della domenica, e la legislazione matrimoniale e familiare dovrebbe tener conto in pari misura della tradizione musulmana e di quella cristiana. E così concludeva: «Uno Stato non può rescindere totalmente le proprie radici ed elevarsi, per così dire, a puro Stato razionale che, privo di una propria cultura e di un proprio profilo, tratta egualmente tutte le tradizioni rilevanti per l´etica e il diritto e valuta alla pari tutte le manifestazioni esteriori delle religioni».

Nella mia replica io scrivevo che la riserva da lui segnalata richiamava l´attenzione su un importante problema che nel dibattito viene facilmente trascurato e che neanche io avevo affrontato. «Lei ha ragione, ogni ordinamento statale ha le proprie radici culturali e anche religiose, e questo si riflette più o meno nelle sue istituzioni e nel suo sistema giuridico, anche quando lo Stato è uno Stato secolare, neutrale verso le religioni e le ideologie. Quelle radici esso non deve rinnegarle nell´interesse del pari trattamento delle religioni, e può tutelare l´ordre public che da esse ha ricevuto l´impronta». Ma, visto il riconoscimento della libertà religiosa come diritto umano, in questo ordre public rientra l´esigenza che le altre religioni e confessioni non siano escluse dal diritto di avere la propria fede e proclamarla in privato e in pubblico, o che in ciò subiscano sostanziali limitazioni; in tal senso la libertà religiosa non è divisibile e deve consentire la visibilità dei simboli religiosi di altre confessioni senza dovere perciò rinnegare le peculiarità della cultura pre-esistente. La quintessenza di questa discussione risale per me al fatto che da una parte la libertà confessionale in quanto diritto umano non sottostà a una riserva culturale, dall´altra la libertà religiosa e la parità di diritti delle religioni non autorizzano la pretesa di un livellamento dell´impronta religiosa data alla cultura e alla forma di vita come parte dell´ordre public. Alla luce di questa impronta, le minoranze religiose vivono nella diaspora. Per questa vita nella diaspora, l´Islam e l´ebraismo contengono del resto l´esplicito invito a rispettare le leggi e le consuetudini delle nazioni. (…)
Può mai essere che lo Stato secolarizzato, che è caratterizzato dalla fondamentale separazione fra Stato e religione, e che concede alla religione spazio per dispiegarsi ma non si identifica affatto con essa, non possa tuttavia fare a meno di riferirsi alla religione, e in certo modo, si alimenti di essa? Non si tratterebbe di una contraddizione in termini?
Per affrontare il problema più da vicino, è opportuno porsi la domanda: lo Stato secolarizzato liberale da dove trae e conserva nei cittadini e cittadine, oggi e in futuro, quella misura di senso pre-giuridico di comunanza e di ethos sostenitore che è indispensabile per una prospera convivenza proprio in un ordinamento liberale? Nessuno Stato si può fondare soltanto su una concentrazione di potere e sull´esercizio della costrizione, per quanto questi siano irrinunciabili; deve anche compiere azioni positive che assicurano la legittimità, e ha bisogno degli atteggiamenti grazie ai quali le persone prestano un´obbedienza prevalentemente volontaria. E sarebbe parimenti un´illusione pensare che un ordinamento statale possa vivere della concessione della libertà individuale autoreferenziale, senza un vincolo unificatore comunicante un sentimento del "noi" e pre-esistente a questa libertà.

© Copyright Repubblica, 6 ottobre 2007