venerdì 3 luglio 2009

Card. Ratzinger: Non è compito dello Stato procurare la felicità degli uomini, e non è perciò suo compito creare “uomini nuovi”


Nuova edizione della raccolta "L'elogio della coscienza. La Verità interroga il cuore" di Joseph Ratzinger

Il libero Stato secondo la Chiesa in sette semplici mosse da Papa

Joseph Ratzinger

Che cosa è dunque lo Stato? A che cosa esso è funzionale? Potremmo rispondere in maniera molto elementare che il compito dello Stato è «permettere e conservare l’ordinata convivenza tra gli uomini», dunque creare un equilibrio tra la libertà e i beni, tale che ciascuno possa condurre un’esistenza degna dell’uomo. Potremmo altresì dire che lo Stato garantisce il diritto come condizione della libertà e del benessere generale. Perciò, per un verso è carattere essenziale dello Stato il fatto che esso debba essere governato; per l’altro, che l’attività di governo non è semplicemente esercizio di potere, bensì tutela dei diritti di ciascun individuo e del benessere di tutti. Non è compito dello Stato procurare la felicità degli uomini, e non è perciò suo compito creare “uomini nuovi”.
Più in là, neppure è suo compito trasformare il mondo in un paradiso, e neanche lo può fare; quando però lo tenta, finisce per porsi come “assoluto” e decide perciò i limiti che gli sono propri. Si comporta allora come se fosse esso stesso Dio, e per tale ragione diviene quella “bestia” terrificante e il potere dell’Anticristo di cui dice il Libro dell’Apocalisse.
In questo contesto, è importante considerare sempre in parallelo due passi biblici, che solo apparentemente si contraddicono, ma che in realtà sono essenzialmente correlati l’un l’altro: il capitolo 13 della Lettera ai Romani e il capitolo 13 dell’Apocalisse.
La Lettera ai Romani descrive lo Stato nella sua forma ordinata, lo Stato che si attiene a ciò che rientra nelle sue competenze e dunque non pretende di porsi come la fonte della verità e del diritto. Paolo ha presente lo Stato come amministratore fiduciario di un più ampio ordine complessivo, che come tale rende possibile all’uomo sia la sua esistenza individuale che quella nella collettività. A questo Stato è dovuta obbedienza. L’obbedienza alla legge e agli organi che sono autentiche forme di diritto non è impedimento della libertà, bensì sua condizione.
D’altra parte, la misteriosa rivelazione dell’Apocalisse mostra allo Stato che pretenda di accreditarsi come Dio e rivendichi il diritto di consistere solo in se stesso che cosa è invece legittimo e deve aver valore in quanto verità. Uno Stato del genere annichila l’uomo. Esso nega la sua propria essenza e non può perciò neanche più esigere obbedienza alcuna.
È significativo che, in fondo, tanto il nazionalsocialismo quanto il marxismo abbiano negato lo Stato ed il diritto, concepito i vincoli della legge come illibertà e, a fronte di ciò, preteso di affermare qualcosa di più elevato ancora: la cosiddetta volontà del popolo o la società senza classi, che avrebbero dovuto subentrare allo Stato, puro strumento dell’egemonia della classe dominante.

Punti fondamentali

Mi sembra che il risultato della nostra ricognizione del dibattito odierno si possa sintetizzare nelle seguenti sette affermazioni.

a. Lo Stato non è di per sé fonte di verità né di morale. Esso non può da sé “produrre” verità alcuna né in virtù di un’ideologia - fondata sul popolo, o sulla classe, o su qualsivoglia altra grandezza - di cui sia particolare depositario, e neppure per la via del principio maggioritario. Lo Stato non è realtà assoluta.

b. Allo stesso modo, il fine dello Stato non può consistere nella promozione di una mera libertà, del tutto priva di contenuti; per fondare un’ordinata convivenza tra gli uomini, che abbia senso e sia vivibile, esso ha bisogno di un minimo di verità e di conoscenza del bene; si badi però, non manipolabile. Altrimenti esso decadrà, come afferma Agostino, al livello di un’efficiente associazione a delinquere, perché si troverebbe ad esser definito come questa in una prospettiva esclusivamente strumentale e non sulla base della giustizia che significa il bene in senso realmente universale ed è eguale per tutti.

c. Conseguentemente, lo Stato deve disporsi ad accogliere da “fuori” di sé, e a far proprio, il patrimonio di conoscenza e di verità intorno al bene da cui non può prescindere.

d. Idealmente, questo “fuori” potrebbe essere la pura evidenza razionale che sarebbe in particolar modo compito di una filosofia scevra da condizionamenti conservare e custodire. Ma di fatto un’evidenza razionale di tale purezza, ed indipendente dalla dimensione storica, non si dà. La ragione metafisica e la ragione morale “funzionano” e si attestano presenti soltanto dentro un contesto storico: ne dipendono, e nel contempo però lo travalicano. Di fatto, tutti gli Stati hanno attinto le evidenze morali razionali - permettendo loro di dispiegare i propri effetti - dalle tradizioni religiose ad essi preesistenti (che ad un tempo sono state anche ambiti di formazione morale). La ragionevolezza ed i contorni della nozione di bene sono ovviamente molto diversi da una religione all’altra, ed altrettanto differenti le forme di correlazione tra Stato e religione. La tentazione dell’identificazione e così dell’assolutizzazione idolatrica dello Stato - che nel medesimo tempo corrompe la stessa religione - è presente lungo tutto il corso della Storia. Ma altrettanto essa attesta anche modelli positivi di relazione tra un sapere morale religiosamente fondato e gli ordinamenti statali. Sotto questo punto di vista, si può perfino affermare che nelle grandi formazioni religiose e statali si evidenzia un consenso di fondo circa tratti importanti ed essenziali del “bene” in senso morale, che rinvia ad una comune razionalità.

e. La fede cristiana ha dato prova di sé come creatrice di cultura religiosa universale e razionale in sommo grado. Anche oggi, essa offre alla ragione quel patrimonio di base di intuizioni morali che conduce ad acquisire certe e fondate evidenze in campo etico o, almeno, giustifica quella ragionevole fede morale senza la quale una società ed uno Stato non possono elementarmente consistere.

f. Conseguentemente, come abbiamo già detto, quanto sostiene in radice ed essenzialmente lo Stato, lo Stato lo riceve da “fuori” di sé: non da una “pura ragione” - che in ambito morale non è sufficiente - bensì da una ragione che è divenuta matura in forme storiche di cristallizzazione culturale della fede religiosa. È essenziale che tale distinzione non venga cancellata: non è lecito alla Chiesa trasformarsi in entità politica o voler agire in essa o per suo tramite come gruppo di potere. Allora essa si muterebbe in Stato e darebbe forma così allo Stato assoluto dal quale essa deve invece mettere in guardia. Mediante la sua fusione con lo Stato essa annichilirebbe sia l’essenza dello Stato che la propria.

g. Per lo Stato, la Chiesa rimane un “corpo estraneo”. Soltanto allora entrambi sono quello che devono essere. La Chiesa deve restare al suo posto e non travalicare i limiti che le sono propri, altrettanto quanto deve fare lo Stato.

Da Benedetto XVI, "Elogio della coscienza. La verità interroga il cuore", Cantagalli 2009

© Copyright Libero, 28 aprile 2009 consultabile online anche qui.