lunedì 21 febbraio 2011

Card. Ratzinger: "La Chiesa non è governata da decisioni prese a maggioranza, ma dalla fede, che matura nell’incontro con Cristo nella celebrazione eucaristica. Il ministero petrino è primato nell’amore, ovvero preoccupazione perché la Chiesa riceva la sua dimensione dall’eucaristia" (1999)

La Cathedra Petri nella Basilica Vaticana
Grazie al puntuale lavoro della nostra Gemma leggiamo questo attualissimo testo dell'allora card. Ratzinger sull'altare della Cattedra di San Pietro a Roma.
E' un brano illuminante ancora piu' prezioso perche' siamo alla vigilia della Festa della Cattedra di San Pietro.


IMMAGINI DI SPERANZA

Le feste cristiane in compagnia del Papa, Ed. San Paolo

IV. CATHEDRA PETRI

Primato nell’amore.

L’altare della Cattedra di San Pietro a Roma

Chi, dopo aver percorso tutta la grandiosa navata centrale della basilica di San Pietro giunge finalmente all’altare che chiude l’abside, potrebbe aspettarsi una raffigurazione trionfale di San Pietro, sulla cui tomba è stata costruita questa chiesa.
E invece nulla di ciò: la figura dell’Apostolo non appare tra le opere scultoree di questo altare. Al suo posto ci troviamo davanti a un trono vuoto, che sembra quasi librarsi, ma che in realtà è sostenuto dalle quattro figure dei grandi Padri della Chiesa d’Occidente e d’Oriente. La luce tenue, che giunge sul trono, proviene dalla finestra sovrastante, che è circondata da angeli sospesi nell’aria, che, a loro volta, conducono il flusso della luce verso il basso.
Che significato può avere questo complesso scultoreo?
Che cosa ci dice? Mi pare che esso racchiuda una profonda intepretazione dell’essenza della Chiesa e, con essa, un’interpretazione del magistero petrino.
Cominciamo dalla finestra, che con i suoi tenui colori raccoglie ciò che sta all’interno e lo apre verso l’esterno e verso l’alto. Essa collega la Chiesa con la creazione nella sua totalità: mediante la rappresentazione della colomba dello Spirito Santo interpreta Dio come la vera fonte di ogni luce. Ma ci dice anche un'altra cosa: la Chiesa stessa è, nella sua essenza, una finestra, lo spazio in cui il mistero trascendente di Dio si fa incontro al nostro mondo; essa rappresenta il farsi trasparente del mondo allo splendore della sua luce. La Chiesa non esiste per se stessa, non è una fine, ma un inizio che rinvia oltre sé e al di sopra di noi. Essa corrisponde alla propria essenza nella misura in cui diventa trasparente per l’altro da cui proviene e a cui conduce. Attraverso la finestra della sua fede, Dio entra in questo mondo e desta in noi il desiderio di ciò che è più grande.
La Chiesa è arrivo e partenza: di Dio verso di noi, di noi verso Dio. Il suo compito è spalancare oltre se stesso un mondo che si chiude in se stesso, donargli quella luce senza la quale esso sarebbe inabitabile.
Vediamo ora il livello successivo di questo altare: la cattedra vuota di bronzo dorato, che racchiude un seggio ligneo del secolo IX, a lungo ritenuto la cattedra dell’apostolo Pietro e che, per tale ragione, fu collocato in questo luogo. Si chiarisce già così il significato di questa parte dell’altare.
Il seggio di san Pietro dice quel che più di un’immagine potrebbe dire. Esprime la presenza permanente dell’Apostolo, che è presente, come magistero docente, nei suoi successori.
Il seggio dell’Apostolo è un simbolo di sovranità, è il trono della verità, che nell’ora di Cesarea divenne il mandato suo e dei suoi successori. Il seggio magisteriale rinnova in noi la memoria delle parole pronunciate dal Signore nel cenacolo: "Io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Lc 22, 32).
Ma il seggio dell’Apostolo si lega anche a un altro ricordo: le parole di Ignazio di Antiochia, che nella sua lettera ai Romani, scritta intorno all’anno 110, chiamava la Chiesa di Roma "quella che presiede nella carità".
Per presiedere nella fede bisogna presiedere nell’amore : le due cose non sono affatto separabili. Una fede senza amore non sarebbe la fede di Gesù Cristo. Ma l’immagine di Sant’Ignazio era ancora più concreta: la parola “carità” nel linguaggio della Chiesa delle origini indicava anche l’eucaristia. L’eucaristia nasce infatti dall’amore di Cristo, che ha dato la sua vita per noi.
In essa egli continua a comunicarsi a noi, mette se stesso nelle nostre mani. Mediante essa continua ad adempiere alla sua promessa di attirarci tutti a sé, nelle sue braccia aperte sulla croce (cfr. Gv 12,32). Nell’abbraccio di Cristo veniamo condotti gli uni verso gli altri. Veniamo accolti nell’unico Cristo e, in tal modo, ora ci apparteniamo vicendevolmente: io non posso più considerare come un estraneo colui che, come me, sta nell’unico abbraccio di Cristo.
Ora questi non sono remoti pensieri mistici.
L’eucaristia è la forma fondamentale della Chiesa: essa si attua nell’assemblea eucaristica. E poiché tutte le assemblee in tutti i luoghi e in tutti i tempi appartengono sempre e soltanto all’unico Cristo, esse, nella loro totalità, formano un’unica Chiesa. Si può dire che, in qualche modo, esse stendano sul mondo una rete di fraternità e che leghino tra loro i vicini e i lontani, così che mediante Cristo essi sono tutti vicini. Ora, però, nel nostro modo di pensare abituale c’è spesso l’idea che l’amore e l’ordine siano in contrapposizione: dove c’è amore, non c’è più bisogno di ordine, dal momento che ormai tutto è chiaro. Ma si tratta di un equivoco, tanto riguardo all’ordine che riguardo all’amore. Il giusto ordine umano è ben altra cosa dalla gabbia in cui si chiudono le bestie feroci per tenerle a bada. L’ordine autentico è attenzione all’altro e a se stesso, tanto più oggetto d’amore, quanto più è compreso nel suo vero significato.
Per questo l’ordine appartiene all’eucaristia e il suo ordine è il nucleo autentico dell’ordine della Chiesa. Il seggio vuoto, che rinvia al primato nell’amore, ci parla quindi dell’accordo tra amore e ordine. Nella sua dimensione più profonda ci rinvia a Cristo, come a colui che in maniera più propria e autentica presiede nell’amore.
Ci rinvia al fatto che la Chiesa ha il suo centro nella messa. Ci dice che la Chiesa può rimanere una cosa sola a partire dalla comunione con il Cristo crocifisso. Non c’è abilità organizzativa che possa garantire la sua unità. Essa può essere e rimanere Chiesa universale solo se la sua unità è più che organizzazione, se vive di Cristo. Solo la fede eucaristica, solo il radunarsi intorno al Signore presente può renderle duratura. E da qui acquista senso il suo ordine.
La Chiesa non è governata da decisioni prese a maggioranza, ma dalla fede, che matura nell’incontro con Cristo nella celebrazione eucaristica. Il ministero petrino è primato nell’amore, ovvero preoccupazione perché la Chiesa riceva la sua dimensione dall’eucaristia.
Essa sarà tanto più unita, quanto più vivrà del criterio eucaristico e nell’eucaristia si manterrà fedele al criterio della tradizione della fede
.
Tanto più allora, dall’unità crescerà anche l’amore che si rivolge al mondo: l’eucaristia si fonda infatti sull’atto d’ amore di Gesù Cristo fino alla morte. D’altra parte, è chiaro che questo significa anche che non può amare chi vede il dolore come qualcosa da eliminare o, in ogni caso, da lasciare agli altri. “Primato nell’amore”: all’inizio abbiamo parlato del trono vuoto, ma è ormai chiaro che il “trono” dell’eucaristia non è il trono del potere,ma la dura e scomoda sedia di chi è servitore.
Guardiamo ora al terzo livello di questo altare: ai Padri, che sostengono il trono del servizio. I due maestri dell’Oriente, Giovanni Crisostomo e Atanasio, insieme con i latini, Ambrogio e Agostino, incarnano la totalità della tradizione e, quindi, la pienezza della fede dell’unica Chiesa.
Due riflessioni sono qui importanti. L’amore poggia sulla fede. Esso si sgretola dove l’uomo è privo di orientamenti; si sgretola dove l’uomo non è più in grado di sentire Dio. Come l’amore e con l’amore, anche l’ordine e il diritto poggiano sulla fede, anche l’autorità nella Chiesa poggia sulla fede. La Chiesa non può pensare da se stessa come vuole ordinarsi; può solo tentare di comprendere sempre meglio la voce interiore della fede e di vivere secondo essa. Non ha bisogno del principio di maggioranza, che ha sempre in sé qualcosa di rigido: in nome della pace la parte perdente deve piegarsi alla decisione della maggioranza, anche qualora questa decisione fosse stolta o addirittura dannosa. Negli ordinamenti sociali le cose forse non possono andare diversamente.
Ma nella Chiesa il legame con la fede ci tutela tutti: ognuno è legato a essa e, proprio per questo, l’ordine sacramentale garantisce più libertà di quella che potrebbero garantire coloro che vogliono sottomettere anche la Chiesa al principio di maggioranza.
A ciò si aggiunge la seconda riflessione. I Padri della Chiesa appaiono come i garanti della fedeltà alla Sacra Scrittura. Le ipotesi dell’esegesi umana vacillano. Non possono sostenere il trono. La forza vitale della parola sciritturistica è spiegata e fatta propria nella fede che i Padri e i grandi concili hanno tratto da essa. Chi vi si attiene, ha scoperto quello che dà un fondamento stabile nel mutare dei tempi.
Alla fine, però, al di là delle singole parti, non possiamo dimenticarci dell’insieme. Infatti i tre livelli dell’altare ci trasportano in un movimento che è contemporaneamente di ascesa e di discesa. La fede porta all’amore. Proprio da questo si vede se è veramente fede. Una fede tenebrosa, brontolona, egoistica è una fede falsa. Chi scopre Cristo, chi scopre la rete universale dell’amore che egli ha gettato nell’eucaristia, deve essere lieto e deve a sua volta diventare una persona che sa donare. La fede porta all’amore, e solo mediante l’amore raggiungiamo l’altezza della finestra, lo sguardo sul Dio vivente, il contatto con la luce fluttuante dello Spirito Santo.
Così le due direzioni si compenetrano: da Dio viene la luce, si destano e scendono verso il basso la fede e l’amore, per poi accoglierci sulla scala che dalla fede porta nuovamente all’amore e alla luce dell’Eterno.
La dinamica interna in cui l’altare ci inserisce lascia intendere ancora un ultimo elemento: la finestra dello Spirito Santo non è isolata in se stessa. E’ circondata dalla traboccante pienezza degli angeli, da un coro di gioia. Il messaggio che questa immagine vuole comunicarci è che Dio non è mai solo. Ciò sarebbe in contraddizione con la sua essenza. L’amore è partecipazione, comunione, gioia. Questa percezione fa emergere anche un’altra considerazione: la luce si accompagna con la musica. Pare davvero di sentirli cantare questi angeli, dal momento che non riusciamo a immaginare in silenzio questi flussi di gioia , e neppure come parole o come grida, ma solo come celebrazione di lode, in cui armonia e molteplicità divengono un’unica cosa. "Tu abiti nelle lodi di Israele", si dice nel salmo (22.4).
La celebrazione di lode è per così dire la nube della gioia attraverso cui Dio giunge e che lo accompagna in questo mondo. Per questo nella celebrazione eucaristica la luce eterna entra nel nostro mondo e vi lascia echeggiare il suono della gioia di Dio. In essa procediamo a tastoni verso il consolante splendore di questa luce , uscendo dal profondo delle nostre domande e della nostra confusione e salendo sulla scala che porta dalla fede all’amore e apre così lo sguardo della speranza.

Da Joseph Ratzinger, "Immagini di speranza. Le feste cristiane in compagnia del Papa", San Paolo 1999