venerdì 3 luglio 2009

Card. Ratzinger: "Quello di cui abbiamo bisogno è una nuova educazione liturgica, soprattutto dei sacerdoti"


Da "Il sale della terra. Cristianesimo e Chiesa Cattolica nella svolta del terzo millennio". Un colloquio con Peter Seewald, edizioni San Paolo, 2005.

Peter Seewald: Mi chiedo perché la Chiesa non trasmetta meglio la fede a noi ignari e cristiani analfabeti, perché non ricordi più spesso la grandezza del Cattolicesimo, la libertà di pensiero, il perdono e la misericordia. Mi mancano anche i suoi riti tradizionali, le sue usanze e le feste che potrebbe celebrare con orgoglio e con la capacità derivatale da duemila anni di esperienza. In un libro di Isaac Singer ho trovato la descrizione della tradizionale festa ebraica delle capanne: il rabbino salmodiò la preghiera di benedizione del pasto e tenne una predica; i Chassidim si entusiasmarono perché una tale interpretazione della Torà non era mai stata data. Il rabbino aveva svelato dei santi segreti. Alla sera la tavola fu apparecchiata con la tovaglia dei giorni festivi. Poi fu deposto un pezzo di pane e vicino fu collocata una caraffa piena di vino e un calice per il qiddush. I partecipanti ebbero l'impressione che la capanna, allestita in una delle loro case, si trasformasse nella dimora di Dio. Da noi avviene piuttosto che le feste cristiane si trasformino in feste popolari con pâté di fegato e birra.

Joseph Ratzinger: Qui si riaffaccia il tema della fusione di Cristianesimo e società e della penetrazione del Cristianesimo nelle usanze e nelle feste sociali, di cui abbiamo già parlato. In questo contesto però vorrei introdurre un altro tema. Il rabbino non ha detto certo niente di nuovo, ma il rito, svoltosi in modo devoto e festoso, ha proposto il contenuto in modo davvero nuovo e rendendolo nuovamente presente.
Nella nostra riforma liturgica c'è la tendenza, a parer mio sbagliata, ad adattare completamente la liturgia al mondo moderno. Essa dovrebbe quindi diventare ancora più breve e da essa dovrebbe essere allontanato tutto ciò che si ritiene incomprensibile; alla fin fine, essa dovrebbe essere tradotta in una lingua ancora più semplice, più "piatta". In questo modo, però, l'essenza della liturgia e la stessa celebrazione liturgica vengono completamente fraintese. Perché in essa non si comprende solo in modo razionale, così come si capisce una conferenza, bensì in modo complesso, partecipando con tutti i sensi e lasciandosi compenetrare da una celebrazione che non è inventata da una qualsiasi commissione di esperti, ma che ci arriva dalla profondità dei millenni e, in definitiva, dall'eternità.
Allorché l'Ebraismo perse il Tempio, rimase legato alle feste e ai riti sinagogali, e fu tenuto unito proprio grazie a questi grandi riti, in quanto celebrazioni della casa rimasta fedele al culto di Dio. Nei riti c'è una forma comune di vita, che non dipende solo da ciò che si comprende a livello superficiale, ma che ha a che fare con la grande continuità della storia della fede, che in essa si manifesta, e che rappresenta un'autorità, che non viene dal singolo.

Il prete non è un presentatore che si inventa qualcosa e lo comunica abilmente. Può essere al contrario completamente sprovveduto come presentatore, perché comunque rappresenta qualcosa d'altro che non dipende affatto da lui.

Naturalmente anche la comprensibilità fa parte della liturgia e per questo la parola di Dio deve essere presentata bene e, poi, altrettanto bene spiegata e interpretata.
Ma alla comprensibilità della parola contribuiscono altre modalità di comprensione.
Prima di tutto essa non è qualcosa che viene continuamente inventato da nuove commissioni. Altrimenti diverrebbe qualcosa di fatto in casa, a propria misura, tanto se le commissioni si riuniscono a Roma, a Treviri o a Parigi.
Invece essa deve avere la sua continuità, una sua non arbitrarietà ultima, in cui io possa incontrare i millenni e, attraverso essi, l'eternità, e in cui possa entrare in rapporto con una comunità in festa, che è qualcosa di ben diverso da ciò che un comitato o l'organizzazione di una festa potrebbero mai inventarsi.
Credo che proprio su questo punto sia nato un nuovo tipo di clericalismo, a partire dal quale si Può comprendere meglio la richiesta del sacerdozio femminile.
Viene attribuita importanza al sacerdote in persona, nella sua persona; egli deve essere abile e saper rappresentare tutto molto bene. È lui il vero centro della celebrazione. Di conseguenza, ci si chiede perché solo certe persone possono farlo. Se egli, al contrario, si fa indietro in quanto persona ed è davvero solo un rappresentante, e si limita a compiere con fede quel che gli è richiesto, allora quel che avviene non gira più intorno a lui, non ha la sua persona come centro, ma egli si fa da parte ed emerge finalmente qualcosa di più grande. In questo si deve vedere ancora di più la forza dirompente della tradizione non manipolabile. La sua bellezza e la sua grandezza toccano anche chi non sa elaborare e capire razionalmente tutti i dettagli. Al centro sta allora la parola, che viene annunciata e spiegata.

Peter Seewald: Per reagire a questo appiattimento e a questa perdita di fascino e di sacralità, non sarebbe opportuno pensare a un recupero dell'antico rito?

Joseph Ratzinger: Da sola, questa non è una soluzione.
Personalmente ritengo che si dovrebbe essere più generosi nel consentire l'antico rito a coloro che lo desiderano. Non si vede proprio che cosa debba esserci di pericoloso o inaccettabile. Una comunità mette in questione se stessa, quando considera improvvisamente proibito quello che fino a poco tempo prima le appariva sacro e quando ne fa sentire riprovevole il desiderio.
Perché le si dovrebbe credere ancora? Non vieterà forse domani, ciò che oggi prescrive? Ma un semplice ritorno all'antico non è una soluzione.
La nostra cultura si è così trasformata negli ultimi trent'anni che una liturgia celebrata esclusivamente in latino comporterebbe un'esperienza di estraniamento, insuperabile per molte persone.

Quello di cui abbiamo bisogno è una nuova educazione liturgica, soprattutto dei sacerdoti. Deve diventare nuovamente chiaro che la scienza liturgica non esiste per produrre continuamente nuovi modelli, come può valere per l'industria automobilistica. Esiste per introdurre l'uomo nelle feste e nella celebrazione, per disporre gli uomini ad accogliere il Mistero.

Ce lo insegnano le chiese orientali, ma anche le religioni di tutto il mondo, che sanno come la liturgia sia qualcosa di diverso dall'invenzione di testi e riti e che essa vive proprio di ciò che non è manipolabile. I giovani ne hanno una profonda percezione. I luoghi dove la liturgia viene celebrata senza fronzoli e in modo riverente esercitano notevole forza di attrazione, anche se non si capisce ogni suo singolo elemento. Abbiamo bisogno di luoghi come questi, capaci di offrire dei modelli.
Purtroppo da noi c'è una tolleranza quasi illimitata per le modifiche spettacolari e avventurose, mentre praticamente non ce n'è per l'antica liturgia. Cosi siamo sicuramente su una strada sbagliata.

Da "Il sale della terra. Cristianesimo e Chiesa Cattolica nella svolta del terzo millennio". Un colloquio con Peter Seewald, edizioni San Paolo, 2005.